Dal Gruppo di lettura-percorso Direleggereguardare.
Planare dall’alto. Osservare il percorso “dire leggere guardare”, il gruppo di lettura – percorso sugli albi illustrati rivolto agli adulti.
Cinque isole. Una bussola. Traiettorie immaginarie, mutanti.
Un’isola si sdoppia; non ce la fa a contenere la portata del flusso dell’isola madre.
Servono più argini. Serve più tempo, più spazio dedicato.
Identità, l’isola dalla quale siamo salpate.
Libertà, connessioni, cura, intenzione, le altre isole distese sul nostro mare. Dormienti. Pronte ad accoglierci.
Bussola in mano. Traiettoria da architettare di volta in volta.
Una sosta prolungata: la cura ci attende richiedente. Affonda radici antiche, nodose.
La cura richiede tempo, un tempo che apre all’ascolto di sé, dell’altro.
La cura si sviluppa nella relazione con gli altri. E la relazione necessita di più spazio per dispiegarsi. Servono più giga.
Nell’incontro di stasera, la cura ha rivelato un altro aspetto di sé, a cui ci si dirige d’istinto: la cura materna – genitoriale che pizzica corde primitive, arcaiche, profonde dell’essere umano.
La prima relazione di cura verso la quale naturalmente ci si protende é quella materna, genitoriale e poi solo a seguire quella parentale, del proprio clan, della comunità nella quale si cresce e si diventa grandi.
Che la cura possa essere definita un vero e proprio costrutto sociale necessario e irrinunciabile, lo sostiene Luigina Mortari, che della cura si è occupata da un punto di vista sociale e scientifico.
Luigina Mortari, Professoressa Ordinaria, Direttrice del Dipartimento di scienze umane, Università di Verona.
Un’esperienza essenziale, irrinunciabile
Nel campo dell’esperienza umana ci sono cose essenziali, irrinunciabili. Tuttavia può accadere che questa essenzialità, pur evidente nella quotidianità, sfugga al lavoro del pensiero. Spesso ciò che è essenziale è ciò che ci è più vicino, parte strutturale e inevitabile dell’esperienza; ma proprio ciò che ci è più vicino nell’esistenza, può rimanere sconosciuto nel suo significato più profondo e filosofico.
Quando si pensa alla nascita, al venire al mondo, si pensa alla luce che si apre sull’essere; per questo si può dire che il venire a essere è un entrare nella luce, un essere illuminato. Secondo Heidegger, ciò che illumina nella sua essenza quell’ente che è l’essere umano, è la cura; in quanto tale la cura è tratto ontologico essenziale dell’esserci, dell’uomo: ogni uomo infatti assume la propria esistenza avendone cura. Questo rapportarsi all’esistere avendone cura è un esistenziale che ha il tratto della necessità, perché da subito e per tutto il tempo della vita l’essere umano si trova a doversi occupare di sé, degli altri e delle cose. Dal momento che l’essere umano si trova consegnato all’esistenza secondo la modalità della cura, si può dire che «ognuno è quello che fa e di cui si cura»
La cura si chiude, per lo meno per noi.
Sentiamo l’urgenza di salutare e rimetterci in viaggio verso l’ultima isola, la più misteriosa.
Intenzione, spesso sonnecchia sotto le spoglie mentite della volontà.
Le piace confondere, raccogliere in sé il lato B che le manca: la decisione del fare, l’operatività del proposito.
Il cuore dell’intenzione è però un altro, resta confinato nel grembo del desiderio.
Questa isola sposta di nuovo l’ago della bussola, che orienta nella navigazione, verso noi (se) stessi e in un certo senso riconduce all’isola della partenza – l’identità -.
Cosa mi muove?
Dove sta annidata la mia intenzione? E’ esplicita, senza veli o mascherata?
Quel che sicuramente ci auguriamo è di restare ancorate al cor dell’intenzione: “il desiderio che ci muove verso”.
Ma non esiste un solo desiderio, ne esistono tanti, tanti quante siamo noi (qui stasera).